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Manifestazione Rifiuti Zero (no alle discariche nel Lazio!) 3 DICEMBRE

SABATO 3 DICEMBRE ore 10 P.ZZA SS. APOSTOLI
 

VERSO RIFIUTI ZERO NEL LAZIO: la Rete “ ZERO WASTE LAZIO” INVITA AD ADERIRE ALLA MANIFESTAZIONE

 ·  PER UN PIANO URGENTE DI RACCOLTA PORTA A PORTA SPINTA A ROMA ED IN TUTTO IL LAZIO,

 ·   PER NUOVI IMPIANTI DI RICICLO E COMPOSTAGGIO,

 · CONTRO L’APERTURA DI TRE NUOVE DISCARICHE A   RIANO – CORCOLLE – FIUMICINO,

·  CONTRO VECCHI E NUOVI INCENERITORI DI RIFIUTI.

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Termovalorizzatori e Bugie

Testo di Roberto Topino

Foto microscopiche di Stefano Montanari

La parola termovalorizzatore vorrebbe indicare un macchinario costruito per recuperare energia da qualcosa, che viene bruciato e sviluppa calore utilizzabile in quanto tale (teleriscaldamento) o per produrre energia elettrica.

Ad un pensiero superficiale e distratto può sembrare una buona idea, ma analizzando i fatti, si scopre che si risparmia più petrolio riciclando materia di quanto non se ne risparmi sostituendo il petrolio con i rifiuti bruciati nei termovalorizzatori.

Se io brucio qualcosa di plastica ottengo un po’ di calore, ma dovrò estrarre altro petrolio per ricostruire ciò che ho bruciato e il bilancio finale di energia e materia sarà in perdita.

Avrete sentito dire che “non c’è scelta” e che i rifiuti o si bruciano o vanno in discarica.

Anche questo non è vero perché con la raccolta differenziata finalizzata al riciclo, utilizzando una tecnologia poco costosa e già collaudata, quasi tutto può essere riutilizzato, anzi realmente “valorizzato”.

Vi avranno anche detto che il termovalorizzatore elimina le discariche: non è vero perché anche gli impianti più moderni necessitano di una discarica di servizio pari a circa un terzo in peso del rifiuto bruciato, quindi un inceneritore di media taglia, da mille tonnellate al giorno, produce quotidianamente più di trecento tonnellate di ceneri e di scorie da smaltire in apposite discariche per rifiuti pericolosi.

I giornali hanno scritto che a Brescia tutti i rifiuti vanno a finire nel termovalorizzatore, ma se andate a Brescia con l’aereo, atterrando a Montichiari, potrete vedere la discarica di servizio dell’inceneritore cittadino.

A Torino, il sindaco scrive che con l’entrata in funzione dell’inceneritore ci saranno 160.000 tonnellate di CO2 in meno ogni anno.

Tutti possono capire che qualsiasi fiamma produce più CO2 di qualcosa che non brucia, ma esaminiamo un dato tecnico incontestabile.
Nella tabella che segue vengono confrontate le emissioni di un inceneritore con quelle di un impianto di trattamento meccanico biologico.

Fatte le dovute proporzioni scopriamo che un impianto di riciclo produrrebbe circa 10.000 tonnellate di CO2, cioè 150.000 in meno rispetto all’inceneritore.

Il sindaco di Torino scrive anche che: “non esiste nessuna evidenza di effetti negativi sulla salute umana nelle città in cui il termovalorizzatore funziona da 50 anni o più”.

Si potrebbero fare battute di cattivo gusto ricordando gli inceneritori di Hitler, ma preferisco mostrare una tabella che riassume gli studi epidemiologici italiani sulle popolazioni residenti in prossimità di inceneritori.

Questa tabella è stata presentata ad un incontro organizzato a Torino dall’ARPA.

Come potete leggere tutti gli studi hanno riportato un aumento di tumori, per cui sarebbe più appropriato sostituire il termine di termovalorizzatore con quello più realistico di cancrovalorizzatore.

A questo punto molti ricorderanno che la televisione e i giornali hanno detto che l’inceneritore non inquina e che il rischio per la salute è “zero”.
Se c’è qualcosa che vale “zero” è la veridicità delle informazioni date dai comuni mezzi di informazione.

Per brevità, ma all’occorrenza potrei dilungarmi documentando tutto in modo incontestabile, voglio soffermarmi soltanto su due rischi ben conosciuti e provati oltre ogni ragionevole dubbio.

Il primo riguarda la diossina, la cui emissione viene ormai ammessa anche da coloro che in origine ne negavano la presenza. La diossina è un inquinante stabile, che tende ad accumularsi nel terreno e nel nostro organismo. I danni della diossina sono noti e basti ricordare che, una volta assorbita, non basta il resto della vita per liberarsene.

Il secondo rischio, che viene negato anche di fronte all’evidenza, è quello delle nanopolveri, che vengono prodotte dagli inceneritori, ma che non vengono controllate, perché la loro ricerca non è prevista dalla legge, che richiede soltanto il dosaggio delle polveri più grossolane comunemente conosciute come PM 10.
Va subito detto che non c’è nessun filtro in grado di fermare le polveri di dimensione inferiore a PM 2,5 e che queste sono in grado di penetrare nel nostro organismo e di raggiungere, attraverso il sangue, tutti i nostri organi.

Il primo effetto lesivo della nanopolveri si manifesta già nel sangue dove, comportandosi come corpi estranei, determinano la produzione di fibrina e conseguentemente la formazione di trombi, che possono causate trombosi e infarti.

Di seguito le nanopolveri posso raggiungere gli altri organi e insinuarsi persino all’interno del nucleo delle cellule. Dovete tenere presente che queste nanopolveri non sono biocompatibili né biodegradabili, si comportano da corpi estranei e possono causare alle nostre cellule soltanto danni, che si possono tradurre anche in tumori.
Nella fotografia che segue si nota una nanoparticella di origine antropica finita nel nucleo di un tumore del fegato.

Qualcuno vi dirà che non è dimostrato che le nanoparticelle possano causare tumori, ma se pensate che queste polveri di dimensioni infinitesimali sono spesso composte da cromo, cadmio, nichel, arsenico, amianto, mercurio ed altre sostanze notoriamente tossiche e cancerogene vi accorgerete che vi hanno detto un’altra bugia.

Dovete sapere che un progetto di ricerca della Commissione Europea, che si chiama ExternE (Externalities of Energy), ha quantificato in modo molto preciso i costi dei danni all’ambiente ed alla salute derivanti da una qualunque fonte emissiva.
Questi costi, in Europa, sono attualmente valutati da 3 a 5 volte meno che negli USA, ma è importante che venga riconosciuto che una centrale elettrica, una discarica, un inceneritore, un cementificio, ecc. provocano danni, che hanno, oltre ad un costo in termini di sofferenza, anche costi economici ben quantificabili.
La società che sta costruendo l’inceneritore del Gerbido, nel 2003 ha fatto uno studio in collaborazione con il Politecnico di Torino e ha redatto una tabella dei costi in euro delle malattie previste.
Malattie e costi sono stati riassunti in una tabella, che, a ragion veduta, si potrebbe definire il tariffario del cancrovalorizzatore.
Non è un macabro scherzo, è un documento del Politecnico di Torino.
E poi vi dicono che l’inceneritore sarà sicuro!

Roma, rifiuti tossici bruciati nell’inceneritore: tredici arresti

9/3/2009 (8:35) – IL CASO
pneumatici

Roma, rifiuti tossici bruciati nell’inceneritore: tredici arresti

A finire in manette la dirigenza del consorzio che gestisce l’impianto di smaltimento a Colleferro (Roma)

ROMA Un termovalorizzatore modello costretto a ingoiare e bruciare di tutto. È questa l´accusa di fondo per cui stamane i carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Roma hanno eseguito 13 ordini di custodia cautelare degli arresti domiciliari, emessi dal gip del tribunale di Velletri, nelle province di Roma, Latina, Frosinone, Napoli, Avellino, Bari, Foggia, Grosseto e Livorno.

I reati contestati a vario titolo sono di associazione per delinquere; attività organizzata per traffico illecito di rifiuti; falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico; truffa aggravata ai danni dello Stato; favoreggiamento personale; violazione dei valori limiti delle emissioni in atmosfera e prescrizione delle autorizzazioni; accesso abusivo a sistemi informatici.

A finire nei guai il direttore tecnico e responsabile della gestione dei rifiuti degli impianti di termovalorizzazione di Colleferro, Paolo Meaglia; un dirigente dell´Ama; soci e amministratori di società di intermediazione di rifiuti e di sviluppo di software, chimici di laboratori di analisi.

I militari oggi hanno provveduto anche a notificare 25 informazioni di garanzia. Le indagini dei carabinieri sono durate circa un anno e sono passate attraverso «servizi di osservazione dei luoghi», «ispezioni e controlli agli impianti».
Al centro della questione e della stessa inchiesta del pm Giancarlo Cirielli, della Procura di Velletri, c´è stata la verifica della qualità e consistenza del combustibile da rifiuti (Cdr) che veniva immesso nei cicli gestionali degli impianti di termovalorizzazione di Colleferro, alle porte della Capitale.

Gli accertamenti del Noe hanno permesso di raccogliere chiari elementi di responsabilità – si spiega – a carico dei soggetti che conseguivano ingiusti profitti, rappresentati dai maggiori ricavi e dalle minori spese di gestione dei rifiuti che venivano prodotti e commercializzati come Cdr pur non avendone le caratteristiche.
In gran parte invece, l´impianto doveva, era costretto, a trattare rifiuti speciali anche pericolosi e quindi non utilizzabili nei forni dei termovalorizzatori per il recupero energetico.

Il modus operandi era chiaro.
Prima si allestivano uomini e mezzi (impianti di trattamento e recupero, intermediari, laboratori d´analisi, gestori di rifiuti), che conferivano ingenti quantitativi di rifiuti urbani non differenziati ai termovalorizzatori, classificandoli come Cdr benchè privi delle caratteristiche previste dalla legge.

Il passaggio successivo era la falsificazione e predisposizione di certificati di analisi redatti da liberi professionisti (chimici) che attestavano falsamente dati sulla natura, composizione e caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti, che hanno consentito la classificazione degli stessi come Cdr.

La truffa ai danni dello Stato ammonterebbe a oltre 60 milioni di euro.
Grazie all´ottenimento di incentivi statali, previsti dal CIP 6/1992, e non dovuti e nel dichiarare al Gestore Servizi Elettrici consumi di gas metano per uso generazione elettrica inferiori a quelli effettivi.
Inoltre agli indagati, in concorso, è contestata anche l´alterazione dei dati relativi ai valori fuori limite, attraverso l´introduzione nei sistemi informatici destinati al controllo dei fumi e delle emissioni inquinanti, alla gestione e conservazione dei relativi dati e la trasmissione degli stessi agli organismi di controllo.

E se c´era qualcuno che si opponeva, all´interno degli impianti, bisognava procedere con «contestazioni disciplinari e sospensioni lavorative, al fine di evitare la collaborazione degli stessi con l´autorità giudiziaria».

I militari ritengono significativo, in tal senso, l´episodio che riguarda la combustione di gomme intere di veicoli all´interno del termodistruttore, nonostante le rimostranze e i dubbi posti da alcuni operai verso i responsabili dell´impianto; oppure la combustione di altro materiale non idoneo, che veniva annotato dagli operai sulla documentazione e registri di accettazione con diverse diciture quali ´munezzà, ´pezzatura grossà o ´scadentè.
Il gip di Velletri Alessandra Ilari ha disposto il sequestro preventivo degli impianti di termovalorizzazione di Colleferro, autorizzando comunque la continuazione delle attività, sotto la vigilanza del personale del Noe di Roma.

Il giudice ha anche disposto il campionamento giornaliero dell´Arpa sul Cdr in entrata, sui rifiuti prodotti ed analisi dei fumi dei camini. entro 90 giorni, comunque, ci dovrà essere il rilascio dell´Aia, autorizzazione integrata ambientale).
Era tutto proibito nei due impianti di Colleferro che avrebbero dovrebbero trattare solo combustibile derivato da rifiuti. E l´immondizia «tossica» proveniva anche dalla Campania, da un´azienda di Serino, in provincia di Avellino. Dopo gli avvisi di garanzia emessi nelle scorse settimane i provvedimenti di arresti domiciliari eseguiti oggi dai carabinieri del Noe, chiudono una ricostruzione dei fatti che copre l´attività dei termovalorizzatori per almeno tre anni.

Era stata la denuncia di un ex dipendente a far partire le prime indagini.
Il capo-turno si presentò con un campione di rifiuti da analizzare, estratto da una vasca per il trattamento dei rifiuti che presentava picchi anomali di XCl (acido cloridico) e SO2 (biossido di zolfo).
Il campione sotto forma di cilindro è stato poi fatto analizzare dall´Arpa di Frosinone che non lo ha repertato come «materiale non identificabile come cdr» bensì «rifiuto speciale e pericoloso per la presenza di idrocarburi».
I carabinieri del Nucleo ecologico di Roma diretti dal capitano Pietro Rajola Pescarini, nelle scorse settimane hanno sequestrato documentazione e computer nella sede legale del consorzio Gaia a Colleferro.
Il polo energetico ambientale della Valle del Sacco, con al centro Colleferro, era un esempio di realizzazione del processo di termovalorizzazione.
In numerosi incontri e occasioni pubbliche l´impianto di Colle Sughereto era indicato come la via da seguire. Nell´ordinanza del gip Ilari si riporta come i carabinieri abbiano fermato alcuni camion con all´interno piccoli radiatori, tubi di rame, fili metallici, batterie e materiale ceramico. Oltre addirittura a pneumatici, materassi ed eternit. E per far entrare quel tipo di rifiuto nel termovalorizzatore non si è avuta alcuna remora secondo l´accusa.