Un paese senza tutele

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L’articolo 4 del decreto anti crisi in corso di approvazione toglie ogni ruolo al ministero dell’ambiente [e agli enti locali] nell’iter di autorizzazione delle centrali elettriche, anche nucleari. Così, una classe politica e imprenditoriale «stracciona» e beghe interne agli interessi della maggioranza assestano un altro colpo mortale agli strumenti di tutela. Porta l’imprimatur di Confindustria l’articolo 4 del decreto anti crisi, voluto da Calderoli e in discussione oggi alla camera, che esclude ogni ruolo del ministero dell’ambiente nel rilascio delle autorizzazioni per le reti di distribuzione energetica, nonché per gli impianti di produzione di energia, anche nucleare.
Limitando ai soli impianti di produzione un minimo di ruolo delle Regioni, escluse e passive sugli elettrodotti, i gasdotti e i metanodotti che dovrebbero attraversarle.

Dopo aver riconosciuto al ministro Stefania Prestigiacomo di aver impresso una forte accelerazione ai processi autorizzativi [una sorta di «onore delle armi» riservato solitamente agli sconfitti], Confindustria affonda riconoscendo la necessità delle misure previste nel decreto, perché le infrastrutture energetiche rappresentano «un volano fondamentale per la ripresa economica in questa fase congiunturale – dice l’organizzazione degli industriali – Nel settore dell’energia da troppi anni veti locali hanno impedito la costruzione di infrastrutture essenziali per ridurre il gap di competitività del nostro paese rispetto ai principali competitor internazionali».

Un segnale pesante, sicuramente registrato da tutta la maggioranza, dove la ministra avrà difficoltà a trovare qualcuno disposto a raccogliere la sua richiesta di cancellare, o modificare sostanzialmente, l’articolo 4. Anche se, viene da dire, poteva pensarci prima a rivendicare e rafforzare il ruolo del ministero, da lei pesantemente indebolito con la mancata conferma di centinaia di precari altamente professionalizzati che operavano da anni al dicastero e alla ex Agenzia nazionale per l’ambiente.

Ma oltre agli interessi di bottega e alla miopia di una imprenditoria «stracciona», che non sa fare innovazione né rischia mai del proprio e continua a usare lo Stato per imporre sui territori impianti e opere dal forte impatto ambientale e sociale, in ciò spalleggiata da una classe politica trasversale, la ministra Prestigiacomo è parte di uno scontro tutto interno alla maggioranza.
Lei sta nella cordata siciliana di Gianfranco Micciché [Pdl], che con il presidente della Regione Raffaele Lombardo [Mpa] pensa a un partito del sud. Una spina nel fianco della maggioranza di centrodestra e in particolare del Pdl. Tant’è che, nonostante le ironie indirizzate ai «quattro amici al bar» che starebbero vagheggiando una Lega del sud, il Pdl ha riunito oggi la direzione nazionale con un unico punto all’ordine del giorno, l’analisi del voto europeo e amministrativo. In realtà, al centro della discussione c’è il nodo del partito del sud. In sostegno della Prestigiacomo si sono espressi solo alcuni parlamentari meridionali, capeggiati da Micicché, che ha avvisato: «Mi sembra che Stefania Prestigiacomo abbia perfettamente ragione. L’atteggiamento di Calderoli è la conferma di quello che diciamo da tempo e quindi uno stimolo ad accelerare il processo del partito del sud. Ritengo che se questo atteggiamento non cambierà velocemente, fin dal prossimo voto di fiducia la maggioranza farà a meno di alcuni deputati».

Comunque, tutto fa supporre che l’articolo 4 del decreto anti crisi andrà avanti. E il problema non sta, ovviamente, nei minori poteri della ministra Prestigiacomo, peraltro finora latitante sui temi delle tutele ambientali. Il problema sta nel ruolo, nella forza e nell’autorevolezza del ministero dell’ambiente, già indebolito e sterilizzato dall’allora ministro Altero Matteoli [su mandato del precedente governo Berlusconi], ulteriormente mortificato dall’ex ministro verde Alfonso Pecoraro Scanio e ora dall’attuale ministra. L’articolo 4 del decreto anti crisi è l’ennesimo colpo mortale agli strumenti di tutela del territorio e dei cittadini. Per inciso, tra le altre cose, prevede anche il rilancio e il potenziamento della Società stretto di Messina, con investimenti per un miliardo e trecento milioni di euro. E’ la società incaricata di costruire il Ponte sullo stretto di Messina. Quella che l’ex ministro Di Pietro impose di salvare durante il precedente governo Prodi.

Di Anna Pacilli

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